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Presentazione Sick For Milk
E’ sempre difficile parlare di qualcosa che ti coinvolge direttamente. Come, per esempio, di un disco di cui curi la produzione artistica. E un disco, se hai deciso di dedicartici, di offrigli il tuo tempo, le tue capacità, il tuo impegno, è un figlio. Anche se non l’hai scritto o interpretato tu, finisci comunque per esserne parte. Io ho prodotto una ventina di dischi, potevo produrne di più, forse, ma ho sempre scelto di lavorare sulla qualità e per la qualità. Presentare questo disco, proprio questo, è ancor più difficile che per tutti gli altri, perché qui di figli ce ne sono due più alcuni altri “adottati”. Non è un mistero, Jacopo, il leader dei Sick for Milk, è mio figlio. I suoi compagni di avventura li conosco qualcuno da quando aveva appena messo i calzoni lunghi, qualcuno da quando avevo ancora una timida speranza di conservare almeno parte dei capelli. Ho prodotto artisticamente un disco di mio figlio? No, anche se in questo non ci sarebbe in assoluto niente di male: ho prodotto il primo disco dei Sick for Milk, gruppo di cui sono fan sin dai primi concerti nei pub romani. Sono ipercritico con i miei figli, quelli legittimi e quelli adottati. Lo sono stato per tutti questi anni (non tantissimi, parecchi però rispetto all’età dei componenti il gruppo), sino a che, da appassionato, oltre che da professionista del settore “musica e affini”, non ho capito che questo talento, che largamente s’intuiva, era penetrato sino in fondo nelle anime di questi ragazzi, portandoli a una maturità artistica che certe formazioni, più mie coetanee che loro, non hanno ancora raggiunto.
Non ho deciso di fare un disco: conversando una sera in posta elettronica con Marco Lincetto, gli ho chiesto di ascoltare un pezzo, il primo dei Sick in versione “unplugged”, che era su youtube, tanto per avere un parere. Marco dopo pochi minuti mi ha riscritto con una frase lapidaria “bravissimi, voglio fare questo disco”. Non ho dovuto faticare molto, né convincere nessuno. Il che mi ha tolto un grande peso. E mi ha confortato nella mia vanagloriosa convinzione di conoscerla e capirla bene la musica, di riconoscere i talenti. Insomma di saper fare il mio, bellissimo, mestiere.
Sapevo, ovviamente, che la registrazione Velut Luna sarebbe stata di altissima qualità, dunque tutto perfetto.
Poi quel che ne verrà ne verrà, questi ragazzi sono talentuosi non solo nella musica, e il loro essere, appunto, talentuosi in cose tanto differenti dalla musica è, a mio avviso, il motivo per cui, alla loro età sembrano già una formazione matura e affermata. Perché non ho mai creduto al talento distinto dall’intelligenza e dal sapere, o almeno dall’aver voglia di sapere. E mi scuserete se ho malamente citato Miles Davis.
Se mi è concesso, chiudo questa brevissima presentazione con una notazione genetico-affettiva-animista: la Ovation acustica che suona Jacopo è quella che fu di suo zio Danilo e da lui lasciata prematuramente in eredità a questo indegno fratello che la passò ( un lunghissimo prestito) a suo figlio. E’ la numero 1037, la prima arrivata in Italia. E negli ultimi 35 e passa anni ha svolto molto, molto bene il suo compito, calcando i palcoscenici di tutta Italia e di un bel pezzo di mondo, senza mai perdere un colpo.
Bebo Moroni