: Nino Rota
: Luca Lucchetta (clarinetrto), Francesco Martignoni (violoncello), Gian Luca Sfriso (pianoforte)
: 43:26
: GOLD CD
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NINO ROTA 1911 - 1979
Tra le quattro composizioni cameristiche riunite in questo disco, come a segnare alcuni momenti del ricco percorso compositivo, quella per clarinetto solo risalente al 1950 offre una suggestione singolare che ci conduce come attraverso una scorciatoia enigmatica a sfiorare un aspetto del personaggio: solo per quel titolo,”Lo spiritismo nella vecchia casa”- quello di una commedia di Ugo Betti per la quale Rota aveva scritto le musiche di scena – che sembra suggerire un’ aria particolare dietro l’immagine più corrente, disinvolta, quella che Andrea Zanzotto aveva riassunto come "un lucente farsi" , segno di una riconoscenza verso il musicista grazie al quale diceva di aver ritrovato "come un folletto, quell’intramontabile ‘deus’ gentile che è insito nella musica stessa"; con quella pacificante familiarità, anche, che portava il grande poeta a riconoscere come "con le musiche di Rota vien da dire spesso: ma questo motivo io l’ho già sentito".
Appagamento che non dissolve quel senso un po’ stranito che si prova ad ogni ascolto, come se dietro quella naturalezza facessero capolino strani fantasmi; quelli che avevano incantato Fellini durante il lavoro con il musicista: "Nino diventa uno strumento e uno ha l’illusione, un po’ ridicola, di fare la colonna sonora, tanto Nino si inserisce con un’esattezza totale, tanto diventa la musica che serve in quel momento...".
E proprio questa naturalezza sembra ammantarsi di una certa ambiguità, restringendo l’immagine del compositore ad una pura, felice istintualità, che certamente era dote innata e spiccatissima di Rota, ma che sottintendeva in realtà una consapevolezza ed una capacità di muoversi entro la babele linguistica del novecento non meno straordinaria, come del resto attesta l’ampiezza della sua produzione cresciuta al di fuori dell’esperienza cinematografica; senza preclusioni di generi né di gerarchie, peraltro, come riconosceva lui stesso: "non credo a differenze di ceti e livelli nella musica. Secondo me, le definizione di musica leggera, semileggera, seria é fittizia. Gli spartiti di Offenbach, che ormai sono vicini ai 150 anni, saranno leggeri fin che si vuole, ma di una leggerezza che dura nel tempo e ha una formidabile vitalità…".
Come quella liberata da un proprio inconfondibile linguaggio, terso, accattivante e tuttavia con una punta d’amaro celata tra le pieghe di quella esemplare nitidezza di scrittura . Per dire di una inconfondibilità che è anche indefinibilità per chi ha bisogno di sicurezze catalogatorie, per quello che oggi contino, sempre più erose, smentite, confuse.
Per i vent’anni dalla scomparsa di Rota, in un convegno della Fondazione Cini , che attualmente custodisce tutto il lascito dell'autore, uno dei motivi che affiorò fu quello del "candore" , quale categoria entro cui collocare la vocazione lirica di un musicista come Rota così apparentemente distaccato dalla cosiddetta "modernità"; motivo che lungi dall’essere una tranquillante fuga verso gli Elisi, non è in effetti meno inquietante.
Fellini, che come pochi altri sfiorava da vicino l’aura enigmatica di Rota, parlava di un musicista "sensitivo" denunciando poi come "fatata" la disattenzione succeduta alla sua morte. Andrea Zanzotto, altro osservatore dalle antenne sensibili, suggerirà come il termine candore possa implicare il suo contrario, addirittura "il nefasto pallore della morte", che non è certo il caso di Rota e tuttavia elemento di alternanza per creare un gioco prospettico tanto allettante quanto sottilmente insidioso, proprio per il tono di un eloquio la cui naturalezza, frutto indubbio di un talento musicale fuori discussione, è impregnata di interferenze acutissime, talora scoperte, ma pure più ombreggiate, che non possono non risuonare problematiche su un fondale come quello novecentesco e oltre dominato dal "negativo".
E’ davvero una voce angelica, candida quella di Rota, viene naturale chiederci? Gian Paolo Minardi
Il clarinetto per cui Rota scrisse lo “Spiritismo della vecchia casa” era uno strumento diverso da quelli in uso attualmente. Disponeva di un fusto inferiore allungato e di una chiave in più, che gli permetteva di ampliare verso il grave di un semitono la propria estensione ed era all’epoca molto diffuso in Italia.
L’edizione moderna della composizione è stata trasposta per fini pratici, per permettere cioè agli strumenti in uso attualmente di eseguire il brano. In questo modo però si è persa la profondità di suono delle note gravi a cui Rota si era sicuramente ispirato per rendere più suggestiva la sua composizione. La presente registrazione che si basa sul manoscritto conservato presso la biblioteca della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (gentilmente messo a disposizione per la consultazione) e che riporta le note effettivamente scritte da Rota, è stata possibile grazie allo strumento messo a disposizione dalla casa costruttrice Buffet&Crampon di Parigi un BCXXI, che è dotato del meccanismo necessario a renderci questa preziosa testimonianza.
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