La trascrizione è una pratica compositiva che accompagna la storia della musica ormai da diversi secoli. Se nel ’500 iniziano a fiorire le prime intavolature liutistiche di brani vocali, nel ‘700 essa si impone come vero e proprio genere sempre più in voga e sempre più richiesto. Maestro e modello di quest’arte è senza dubbio Johann Sebastian Bach (1685-1750), il quale dedica alla trascrizione l’intero arco della sua produzione musicale. Negli anni giovanili di Weimar, per assecondare le richieste di una corte particolarmente affascinata dal gusto italiano, trascrive numerosi Concerti dando vita a nuove ed interessantissime pagine di solismo tastieristico. A Lipsia diversi Concerti per Violino vengono destinati al clavicembalo, probabilmente per arricchire il repertorio del Collegium Musicum del quale Bach possiede la direzione artistica. Intere Cantate cambiano testo e destinazione in un esercizio di altissimo artigianato musicale, dettato sì da esigenze contingenti, ma condotto con un’arte e una perizia tali da far apparire questi rifacimenti come opere del tutto nuove. Le Sei Suites per Violoncello solo, protagoniste di questa incisione, non hanno mai trovato luce editoriale in forma di trascrizione per mano dell’autore stesso, mentre le Sei Sonate e partite per Violino solo, le quali possono essere considerate loro sorelle, sono state ampiamente rimaneggiate da Bach stesso e trasformate in varie versioni. Inoltre, grazie alla testimonianza di due musicisti contemporanei di Bach, sappiamo che il compositore stesso si cimentava nell’esecuzione al clavicembalo e al clavicordo di questi brani: se l’organista Jacob Adlung (1699-1762) nel descrivere le Sonate e Partite sottolinea il fatto che ‘’possano essere eseguite anche al clavicembalo’’, Johann Friedrich Agricola (1720-1774) ci assicura che ‘’il compositore stesso le suonava spesso al clavicordo e aggiungeva l’armonia che riteneva necessaria’’.
La pratica della trascrizione si rivela come un’ottima e ineguagliabile chiave d’accesso per entrare nel pensiero compositivo dell’autore dell’opera trascritta: più che un mero esercizio di stile, è da considerarsi una vera e propria arte che permette di accedere all’essenza del discorso musicale, svincolandosi dagli automatismi gestuali derivanti dalla tecnica del proprio strumento. Una delle immagini che può descrivere al meglio questo tipo di esperienza è quella di entrare nella bottega di un artigiano, osservare e assorbire i segreti tecnici del mestiere per poi lavorare assieme allo stesso progetto. La trascrizione ci riserva dunque la possibilità di dialogare attivamente con i grandi maestri del passato e di affinare la nostra sensibilità e il nostro pensiero attorno all’estetica di un preciso periodo storico.
In prima battuta, il fatto di rimaneggiare uno dei capolavori più eseguiti e apprezzati dell’intera produzione bachiana mi ha posto di fronte a numerosi interrogativi, i quali sono stati gradualmente risolti a seguito di un adeguato approfondimento analitico delle trascrizioni per clavicembalo operate da Bach stesso a partire da composizioni proprie e altrui. Contrariamente a quanto previsto all’inizio di questo percorso, la difficoltà maggiore non è stata quella di riuscire a produrre concretamente qualcosa a partire dal materiale originario, ma di trovare la forza di scegliere una versione definitiva selezionando tra le numerosissime possibilità interpretative offerte dalle Suites stesse. Occasionalmente, nello stilare questa trascrizione, mi sono trovato di fronte a decine di alternative per il medesimo passaggio musicale e ho dovuto scegliere, di volta in volta, se valorizzare la coerenza con la produzione tastieristica di J. S. Bach, la fedeltà assoluta nei confronti del materiale originario, l’aderenza alla resa sonora della versione violoncellistica, la comodità della mano, l’uniformità stilistica di scrittura per ogni singola danza e altre esigenze che emergono spontaneamente dal confronto con questa particolare tipologia di pratica compositiva. In conclusione, è possibile affermare che le scelte operate durante il processo di trascrizione siano sempre state dettate dall’esigenza di ottenere un risultato il più vicino possibile alla produzione clavicembalistica del compositore tedesco e abbiano rifiutato qualsiasi tentativo di modernizzazione dell’opera trascritta.
Dario Carpanese
Transcription is a compositional practice that has accompanied the history of music for several centuries. If the first lute tablatures of vocal pieces began to flourish in the 1500s, in the 1700s transcription became a true and proper genre that was increasingly in vogue and in demand. Master and model of this art is undoubtedly Johann Sebastian Bach (1685-1750), who dedicated the entire span of his musical production to transcription. In his youthful years in Weimar, in order to satisfy the requests of a court that was particularly fascinated by Italian taste, he transcribed numerous Concertos, creating new and very intriguing pages of keyboard soloism. In Leipzig, several Violin Concertos were assigned to the harpsichord, probably to enrich the repertoire of the Collegium Musicum, of which Bach was the artistic director. Entire Cantatas change text and destination in an exercise of the highest musical craftsmanship, dictated by contingent needs, but conducted with such art and skill thus as to make these remakes appear as entirely new works. The Six Suites for Cello solo, protagonists of this recording, have never found an editorial light in the form of a transcription by the author himself, while the Six Sonatas and Partitas for Violin solo, which can be considered their consanguineous sisters, have been widely reworked by Bach himself and transformed into various versions. Moreover, in virtue of the testimony of two musicians of Bach’s era, we know that the composer himself tried his hand at performing these pieces on the harpsichord and clavichord: if the organist Jacob Adlung (1699-1762), in describing the Sonatas and Partitas, emphasizes the fact that "they can also be played on the harpsichord", Johann Friedrich Agricola (1720-1774) assures us that "the composer himself often performed them on the clavichord and added the harmony he considered necessary".
The practice of transcription reveals itself as an excellent and incomparable key to enter the compositional thought of the author of the transcribed work: more than a mere exercise of style, it is to be considered a real art that allows access to the essence of the musical discourse, freeing oneself from the gestural automatisms deriving from the technique of one's own instrument. One of the images that can best describe this type of experience is that of entering the workshop of an artisan, observing and absorbing the technical secrets of the craft and then working together on the same project. The transcription therefore gives us the possibility to actively dialogue with the great masters of the past and to refine our sensitivity and our thinking around the aesthetics of a precise historical period.
At first, the fact of reworking one of the most performed and appreciated masterpieces of Bach's entire production posed many questions to me, which were gradually resolved after an adequate analytical study of Bach's transcriptions for harpsichord from his own compositions and those of others. Contrary to what was foreseen at the beginning of this course, the greatest difficulty was not that of being able to produce something concretely from the original material, but of finding the strength to choose a definitive version from the numerous interpretative possibilities offered by the Suites themselves. Occasionally, in compiling this transcription, I found myself faced with dozens of alternatives for the same musical passage, and I had to choose, from time to time, whether to value coherence with J. S. Bach's keyboard production, absolute fidelity to the original material, adherence to the sound rendering of the cell version, comfort of the hand, stylistic uniformity of writing for each single dance, and other requirements that emerge spontaneously from the comparison with this particular type of compositional practice. In conclusion, it is possible to affirm that the choices made during the transcription process were always dictated by the need to obtain a result as close as possible to the harpsichord production of the German composer and rejected any attempt to modernize the transcribed work.
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